La fuga non fa bene al Sud
Non si tratta di favorire una categoria ma di porre le basi per uno sviluppo armonico del tessuto economico del Mezzogiorno.
Se non è un esodo, poco ci manca: nel 2022, in Italia, oltre 53mila professionisti hanno gettato la spugna. Troppo forte l’incertezza lavorativa, troppo alti i costi di gestione, troppo evidenti i profitti non adeguati, la burocrazia asfissiante, l’instabilità economica e politica.
Meglio rifugiarsi, dunque, nel lavoro dipendente, anche se quest’ultimo viene retribuito in maniera meno generosa. Il fenomeno è preoccupante nel suo complesso, ma lo è ancor di più per le regioni del Mezzogiorno. Senza i professionisti, infatti, le imprese hanno maggiori difficoltà nello svilupparsi, il che rappresenta un ulteriore ostacolo nella riduzione del divario Nord-Sud. Lo scenario emerge dall’ottavo rapporto recentemente presentato da Confprofessioni. In generale, la libera attività continua a perdere appeal rispetto al lavoro dipendente . Basti pensare che, negli ultimi quattro anni, in Italia sono “spariti ” 7 6 mila professionisti i cui 53mila, come chiarito in apertura d i questa riflessione , soltanto nel 2022. Eppure il reddito medio dei professionisti è pari a 1.785 euro a fronte dello stipendio dei dipendenti che non va oltre i 1.680. Evidentemente, un centinaio di euro in più a fine mese non riesce a compensare i tempi lunghi dei tirocini, l’impegno negli studi professionali che si protrae per anni, il sacrificio del tempo libero e la scarsità di tutele. Questa fuga dalle professioni è assai evidente al Nord dove i giovani, a cinque anni dalla laurea, hanno maggiori probabilità di trovare posto in un’azienda, col risultato che la libera attività rappresenta uno sbocco soltanto per il 16% di loro. Questo valore è più alto nel Mezzogiorno e nelle isole, dove il 25% dei neo-laureati è “costretto” a puntare sulla libera professioni con tutte le conseguenze del caso. Gli squilibri maggiori, tuttavia, riguardano i redditi. In riferimento agli iscritti alla gestione separata Inps, il rapporto di Confprofessioni sottolinea una costante e generalizzata contrazione del reddito medio che scende dai 19mila euro pro capite del 2010 ai 17 mila del 2022. In questo ambito, però, si registra un persistente divario di genere a sfavore delle donne che guadagnano circa 5.800euro in meno rispetto agli uomini. Il gap appare ancor più marcato tra Nord e Sud e si attesta intorno a 6-7mila euro, con Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto in testa alla classifica dei redditi più alti e con Sicilia, Calabria e Campania relegate al ruolo di fanalini di coda. Come arrestare, dunque, questa emorragia di professionisti che rischia di rallentare ulteriormente lo sviluppo delle imprese meridionali e di perpetuare il divario tra Nord e Sud? Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni e consigliere del Cnel, ha indicato la strada in un’intervista con “Il Sole 24 Ore”. La strategia complessiva non può prescindere d a una presa dicosci e n z a della crisi e dalla ricerca di soluzioni adeguate a un contesto caratterizzato da crisi demografica e sofferenza generalizzata delle libere attività. Prima proposta: puntare sull’alta formazione, visto che il numero di giovani che si laureano è ancora troppo basso, sostenendo con decisione la formazione universitaria. Secondo suggerimento: favorire le aggregazioni di professionisti che consentono la circolazione delle esperienze e garantiscono una maggiore redditività. Terza idea: fare in modo che anche i professionisti, dunque non solo le imprese, possano beneficiare dei fondi del Pnrr per la digitalizzazione. A tutto ciò non possono che accompagnarsi una drastica riduzione di tasse e burocrazia e una semplificazione della fiscalità prevista per i professionisti. Non si tratta di favorire una categoria, ma di porre le basi per uno sviluppo armonico del tessuto economico soprattutto al Sud.
Raffaele Tovino
*Direttore generale
Anap