Vietato dimenticare la sicurezza del lavoro


Anche in piena campagna elettorale i partiti trascurano un tema cruciale per il futuro dell’Italia e del Sud. Invece servono subito investimenti in ricerca, sviluppo e formazione non solo per fermare le morti bianche ma pure per rivitalizzare l’economia.


Esistono degli argomenti che vengono più o meno sistematicamente  ignorati dalla politica e dall’opinione pubblica e che, quasi per magia, tornano alla ribalta a ridosso di una tornata  elettorale. Un esempio:  il taglio del cuneo fiscale, misura  peraltro indispensabile per un Paese che intenda stimolare  la crescita e ridurre le  disuguaglianze. Poi ci sono  questioni alle quali la politica non riconosce nemmeno la  dignità di una postilla in fondo  a un programma elettorale  o di un fugace riferimento nel corso di un talk show. A questa seconda categoria,  purtroppo, appartiene  il dramma degli incidenti  e delle morti sul lavoro. Purtroppo e paradossalmente,  aggiungerei, se si analizza il  dossier diffuso ieri dall’Inail: nei primi sette mesi del 2022  le denunce di infortunio sono aumentate del 58,1% al  Sud. E in Puglia non c’è da  esultare anche perché, soltanto  la settimana scorsa, un 55enne è stato travolto e ucciso  da un trattore in un’azienda  agricola di Massafra.  Di questo dramma senza fine la politica sembra essersi dimenticata, preferendo  ricordarsene soltanto in occasione  della festa del primo  maggio, magari  con la solita retorica e le vuote frasi di circostanza.  Il sacrosanto obiettivo  di zero morti e infortuni  sul lavoro, indicato in tempi  non sospetti dal presidente Sergio Mattarella, non trova  spazio nei programmi e  nemmeno nei dibattiti elettorali. Eppure quello stesso obiettivo può e dev’e ss er e  centrato. Non solo per una  fondamentale questione etica,  ma anche per motivi economici:

dati Inail alla mano, in Italia il costo della non sicurezza si attesta intorno ai  45.4 miliardi l’anno, di cui  27.6 dovuti unicamente a infortuni sul lavoro; traendo  spunto da questi dati, l’Eurispes ha calcolato un costo di circa 50mila euro per ogni  singolo infortunio e di 43,8 miliardi totali a livello nazionale,  il 60% dei quali ricade sulle aziende mentre il restante 40 è sostenuto dal sistema Paese.C’è anche una  leva economica, dunque, che deve spingere l’Italia a investire in sicurezza del lavoro.

Cosa si può fare? Non solo effettuare indagini approfondite su infortuni e decessi sui luoghi di lavoro, individuare e affrontare le cause dei vari episodi e sensibilizzare maggiormente in merito  ai rischi connessi alle malattie  professionali. È indispensabile favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo  nelle aziende, in modo tale  che queste possano avviare  processi produttivi più efficienti  ed efficaci riducendo, per questa strada, infortuni e  morti bianche. Per le piccole  imprese, in particolare, sarebbe  il caso di puntare su schemi quali l’incentivo alla  rottamazione, il credito d’imposta o il modello industria 4.0, oppure su soluzioni simili al bonus 110% per il settore edile, che contribuirebbero  a svecchiare il parco  impiantistico aumentando il  grado di innovazione e  digitalizzazione.  Ne beneficerebbero  non solo le aziende,  ma anche lo Stato in termini  di minori costi sociali derivanti  dalla non sicurezza, di maggiori introiti fiscali legati  a un aumento delle vendite di  macchinari e impianti ad alto  contenuto tecnologico e, ancora, di maggiori introiti fiscali  connessi all’incremento di marginalità delle imprese beneficiarie. Più in generale,  bisogna diffondere la  cultura della sicurezza attraverso  azioni mirate che coinvolgano  non solo le imprese,  ma anche le scuole e altre articolazioni fondamentali  della nostra società. Il che significa  offrire ai lavoratori  una formazione più efficace e consapevole in materia di  sicurezza sul lavoro, evitando  che le imprese e gli stessi  lavoratori si perdano nella giungla di norme e cavilli che  caratterizzano la materia. Si  tratta di rimettere la sicurezza  del lavoro al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica. La campagna  elettorale in corso rappresenta  una preziosa occasione  in tal senso: perché non  sfruttarla?


Raffaele Tovino